Ti sarà capitato di vedere un film e piangere, o arrossire in situazioni di disagio, avere ansia in determinati momenti di stress: tranquillo, forse fai solo parte della categoria degli ipersensibili!
In realtà le persone molto sensibili non sono affatto rare: secondo le più recenti ricerche sono il 20% circa della popolazione. Essere persone ipersensibili non vuole dire essere fragili o deboli, come spiegano molti psicologi, ma sperimentare risposte acute fisiche e mentali agli stimoli, sia esterni che interni. L’origine di tutto, come confermano le ultime ricerche, è un tratto della personalità genetico legato al sistema nervoso. Negli ipersensibili infatti il cervello elabora le informazioni in modo più minuzioso rispetto agli altri, riflette di più; il loro lavoro cognitivo è intenso e continuo, e perciò anche logorante. Presentano una maggiore attivazione dei neuroni specchio, quelli che permettono di comprendere e interpretare i comportamenti degli altri, e una maggiore attività dell’insula, area cerebrale che elabora pensieri, percezioni, sentimenti.
Il cervello degli ipersensibili è quindi come una sorta di radar, che individua tutte le sollecitazioni contemporaneamente provocando uno stato di iperattivazione (che gli esperti chiamano over-arousal). Il risulto è che si viene a creare un grande dispendio energetico che sfocia poi in stress e cattivo umore. Se le sollecitazioni sono scarse, invece, può subentrare una fase di ipoattivazione (under-arousal), con insofferenza e noia. Attraverso la risonanza magnetica funzionale, un esame strumentale che permette di individuare le zone del cervello che si attivano in alcune situazioni, si è notato che negli ipersensibili l’amigdala, una struttura ovoidale al centro del cervello e considerata la “centralina delle emozioni”, registra un funzionamento più alto. Ecco perché le reazioni emotive sono particolarmente intense.
Niente di preoccupante però! Essere ipersensibili non è una patologia, ma sicuramente adottando degli accorgimenti possono vivere meglio in modo da proteggersi dal logoramento mentale.
Una soluzione è la mindfulness, una pratica che ci permette di essere consapevoli nostri stati mentali, favorendo nelle persone il raggiungimento di un maggior grado di conoscenza di se stessi. Un’equipe di psichiatri del Massachusetts General Hospital ha infatti realizzato uno studio che dimostra come la meditazione possa influire positivamente sul cervello. Lo studio, pubblicato su Psychiatry Research, ha dimostrato come la pratica di un programma di meditazione durato 8 settimane può cambiare le regioni cerebrali collegate all’autocoscienza, all’empatia e allo stress. Attraverso la pratica della meditazione mindfulness, che gioca un ruolo attivo nel cambiamento del cervello, possiamo migliorare il nostro benessere e la qualità della nostra vita. Impariamo a mettere dei confini senza farci assorbire dai bisogni degli altri; regoliamo la nostra empatia ma soprattutto diamo ascoltare e spazio ai nostri bisogni.
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